Delitto di Garlasco: facciamo chiarezza sulla decisione della Cassazione per l’accusa di pedopornografica verso Alberto Stasi.
È tornato alle cronache il delitto di Garlasco, che ha visto la tragica fine di Chiara Poggi, una ragazza di soli 26 anni. In questi giorni, stanno emergendo moltissimi nuovi elementi che potrebbero riscrivere l’intera storia.

Alberto Stasi all’epoca dell’omicidio (2007) era il fidanzato di Chiara e dopo due assoluzioni, è stato condannato dalla Cassazione perché ritenuto l’assassino della ragazza. Si è molto parlato dei file all’interno del pc di Stasi, tra cui ci sarebbero state anche delle foto pedopornografiche.
Perché la Cassazione ha annullato la sentenza di Alberto Stasi?
La Cassazione è intervenuta su uno dei punti più delicati della lunga vicenda giudiziaria che ha coinvolto Alberto Stasi. Con la sentenza n. 10491 del 5 marzo 2014, i giudici hanno annullato senza rinvio una precedente condanna per detenzione di materiale pedopornografico, motivando in modo molto chiaro le ragioni della loro decisione.

Tutto ruota attorno a una questione tecnica: nel computer di Stasi erano stati trovati minuscoli frammenti di file sospetti, che però non erano né leggibili né completi. Nessun contenuto visibile, nessun video aperto, solo tracce parziali di file che, da soli, non permettevano di comprendere se davvero si trattasse di materiale pedopornografico. Questi frammenti, per di più, non erano accessibili con i normali strumenti informatici. Servivano competenze specifiche e software particolari per tentare – forse – di ricomporli in qualcosa di visibile.
Ma c’è un altro dettaglio che ha avuto un peso decisivo. Gli inquirenti non hanno trovato nel computer di Stasi alcun programma o strumento utile a leggere o recuperare quei frammenti. Nessun software installato, nessuna attività che lasciasse intendere la volontà o la possibilità di usare quel materiale.
Alberto Stasi non deteneva foto pedopornografiche
Secondo la Cassazione, per parlare davvero di “detenzione” ai sensi dell’articolo 600-quater del Codice Penale, serve qualcosa di più. Non basta che sul computer ci siano delle tracce, bisogna dimostrare che l’utente sapesse di averle, potesse accedervi e utilizzasse in qualche modo del loro contenuto. In pratica, bisogna che quei file siano integri, leggibili e scaricati in modo consapevole, magari anche cancellati dopo l’uso, ma in ogni caso fruibili in un primo momento.

In assenza di prove su questi aspetti fondamentali, la Corte ha concluso che non si può configurare il reato. È stato anche ribadito che, nel caso di materiale cancellato, serve dimostrare che prima sia stato effettivamente scaricato in modo completo e utilizzabile, cosa che nel caso Stasi non è stata dimostrata.
Cosa si rischia se si posseggono foto e video pedopornografici
Chi si procura o conserva consapevolmente materiale pedopornografico rischia fino a tre anni di carcere. Ma perché ci sia reato, servono prove concrete e inequivocabili, soprattutto quando si tratta di file informatici. In questo caso, i giudici hanno escluso che Stasi fosse in grado di fruire di quei contenuti e hanno evidenziato l’assenza di qualsiasi elemento che dimostrasse una volontà attiva nel cercare, guardare o conservare quel tipo di materiale.
Quindi, è chiaro che non si può condannare qualcuno solo sulla base di frammenti illeggibili. La colpevolezza, specie in reati così gravi, va dimostrata con rigore, partendo da elementi chiari, concreti e tecnicamente interpretabili. E nel caso Stasi, questi elementi non c’erano.
Il delitto di Garlasco, per molti, non è ancora stato risolto. In queste settimane, stanno emergendo nuove tracce che potrebbero assolvere Stasi e portare al vero assassino di Chiara Poggi.