Dopo la morte di un carabiniere in seguito a una sparatoria, riemerge la vicenda di tre militari dell’Arma uccisi dalla mafia: una strage dimenticata.
La morte di un carabiniere ucciso durante un controllo di routine a Francavilla Fontana, in provincia di Brindisi, la mattina del 12 giugno 2025, ha riportato alla memoria eventi luttuosi che hanno colpito il nostro Paese in anni passati dove l’identità e la mentalità mafiosa erano molto vive in tante Regioni del Sud, anni che speravamo appartenessero ormai al passato e che invece quanto avvenuto due giorni fa ha fatto prepotentemente tornare d’attualità .
La vittima è il brigadiere Carlo Legrottaglie, 60 anni, originario di Ostuni, prossimo alla pensione: durante un posto di blocco, una pattuglia ha intercettato una Lancia Ypsilon rubata, che non si è fermata all’alt e ha dato il via a un inseguimento. I malviventi hanno aperto il fuoco contro i carabinieri, colpendo mortalmente il carabiniere prima ancora che potesse reagire. Si è aperta poi la caccia ai due malviventi, ne è nata una nuova sparatoria tra polizia e fuggitivi, conclusasi con un bandito morto e uno arrestato.
Una coincidenza è che Legrottaglie sia stato ucciso proprio negli stessi giorni in cui l’Italia ricorda il sacrificio di altri tre militari dell’Arma dei Carabinieri, nella lotta alla malavita organizzata. Parliamo del capitano Massimo D’Aleo, del maresciallo Giuseppe Bommarito, dell’appuntato Pietro Morici, tutti e tre barbaramente uccisi dalla mafia esattamente il 13 giugno 1983. Si tratta di una vicenda, nota come strage di Via Scobar, che rappresenta un rimosso della nostra storia recente.
Eppure la figura del capitano D’Aleo in particolare è emblematica del destino di molti uomini dello Stato, impegnati in prima linea in una terra ostile: Monreale, epicentro per decenni del potere mafioso targato Corleone. Il giovane capitano aveva preso il posto di Emanuele Basile, ucciso barbaramente il 4 maggio 1980 durante una processione religiosa, con la figlioletta tra le braccia. Basile, stretto collaboratore del giudice Paolo Borsellino, era stato eliminato su ordine di Totò Riina.
Erano quegli anni in cui il futuro capo dei capi stava costruendo la sua macchina del terrore attraverso omicidi mirati, e che prendevano di mira direttamente lo Stato e i suoi rappresentanti. D’Aleo, da parte sua, si distinse per il rigore e il coraggio con cui contrastò i clan mafiosi attivi tra Monreale e San Giuseppe Jato. La sua caparbietà fece sì che riuscisse addirittura a intercettare un’auto con a bordo Riina già latitante e un giovanissimo Giovanni Brusca, diventato poi l’uomo della strage di Capaci.
Da quel momento, D’Aleo non smise più di inseguire quella scia di sangue e potere, una scelta che costò la vita sua, del maresciallo Giuseppe Bommarito e dell’appuntato Pietro Morici. A loro, sono dedicate targhe commemorative, strage e biblioteche, piccoli gesti che fanno comprendere come l’importanza di conservare la memoria passi anche dalla quotidianità . Sempre nella speranza che comprendere il passato possa aiutare le nuove generazioni a vivere meglio il presente e il futuro.
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