Ci sono storie di donne coraggiose, che hanno anche sfidato le convenzioni per inseguire la giustizia: una di queste è Francesca Morvillo.
Francesca Morvillo non era solo la moglie di Giovanni Falcone: condivideva con lui anche la professione, essendo entrambi magistrati e non era solo quello. Fu infatti una pioniera, che sfidò le convenzioni in anni in cui anche solo pensare che un magistrato potesse essere di sesso femminile era ancora un tabù. Ma soprattutto, è una vittima dimenticata della mafia.
Il 23 maggio 1992, sull’autostrada nel tratto tra Palermo e Capaci, quando la mafia uccise Giovanni Falcone, la moglie era al suo fianco: sono morti insieme, entrambi intenzionati a difendere e servire lo Stato italiano, con un innato senso di giustizia che li aveva sempre caratterizzati. Il suo sorriso compare accanto a quello di Falcone in molte fotografie non è un segno di sottomissione, ma di grande volontà di fare.
La storia di Francesca Morvillo, a 33 anni dalla strage che la uccise insieme al marito Giovanni Falcone e a tre agenti della scorta, causando anche 23 feriti, rivive in un libro, dal titolo Il mio silenzio è una stella e firmato da Sabrina Pisu, dopo due anni di ricerche, scavi d’archivio e testimonianze preziose. Un lavoro nato quasi per caso, durante un laboratorio di scrittura nel carcere minorile Malaspina di Palermo.
In quell’occasione particolare, Sabrina Pisu scoprì che sia la ludoteca che il centro di accoglienza erano intitolati a Francesca Morvillo e scelse di saperne di più su questa donna, che non si può e non si deve considerare una vittima “collaterale” di quell’attentato, così come non lo sono stati gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro.
Compiere un attentato in quel modo, utilizzando chili e chili di esplosivo, significa infatti non voler colpire soltanto Giovanni Falcone, ma lanciare un messaggio allo Stato, andando a colpire i suoi servitori, siano essi agenti di polizia o magistrati. Ma chi era Francesca Morvillo, morta il 23 maggio 1992 sulla strada tra Palermo e Capaci? Abbiamo parlato di lei come di una pioniera, ed è davvero così.
Francesca Morvillo fu una delle prime donne a superare l’esame per entrare in magistratura in Italia, un traguardo che fino al 1963 era precluso alle donne. Ma scelse di non fermarsi: studiò con rigore, si preparò con passione, e scelse una strada difficile, spesso solitaria, al servizio della giustizia minorile. Per quasi vent’anni fu Sostituto Procuratore al Tribunale dei Minorenni di Palermo.
Successivamente, lavorò anche alla Corte d’Appello di Palermo, partecipando a un processo che fece storia, quello contro Vito Ciancimino, un politico legato a doppio filo con Cosa Nostra. Quando le offrirono la scorta, disse di no perché non voleva che la sua vita diventasse una prigione, diventando la sua libertà ostaggio del potere criminale.
Riservata, determinata, austera ma al contempo molto dolce, Francesca Morvillo va ricordata oggi più di quanto accadde al momento della sua morte: il giorno dopo l’attentato, infatti, i giornali scrissero che insieme a Giovanni Falcone, era morta anche la moglie, spogliandola della sua identità, ridotta a figura accessoria nella tragedia nazionale.
Identità che oggi rivive non solo in un libro, ma in un approccio diverso, una rilettura della vita di questa donna, che si separò dal primo marito e scelse una relazione fatta di stima, di amore, e di valori condivisi, al fianco di Giovanni Falcone. Si affiancò a un uomo perché credeva nelle stesse battaglie, e decise di combatterle al suo fianco fino alla fine, fino a quel 23 maggio di 33 anni fa.
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