Il sistema penitenziario italiano è al collasso: oltre 62.000 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di circa 46.000 posti. Una differenza che non è solo numerica ma profondamente umana, fatta di corpi ammassati, diritti compressi e sofferenze silenziose. Lo hanno detto anche le più alte cariche dello Stato – da Ignazio La Russa a Sergio Mattarella – ma le risposte concrete tardano ad arrivare.

Caldo e sovraffollamento: il pericolo cresce ogni giorno
Con l’arrivo dell’estate e i bollettini rossi che avvolgono il Paese, la situazione diventa esplosiva: celle da sei persone che ne ospitano il doppio, ventilatori rotti, finestre sigillate, bagni condivisi in spazi invivibili.
In queste condizioni, la dignità viene cancellata, e la tenuta psicologica cede.
Nel 2024 si contano già 37 suicidi in carcere, e il numero potrebbe purtroppo aumentare.
Molti detenuti soffrono in silenzio, dimenticati da chi li ha condannati e ignorati da chi potrebbe offrire alternative.
Le proposte sul tavolo (e quelle bocciate)
L’opposizione ha proposto uno sconto di pena più ampio per buona condotta (da 45 a 75 giorni ogni semestre), ma la proposta è rimasta senza seguito.
Un’altra possibilità, quella di un indulto parziale di due anni, è stata definita “diseducativa” dal ministro della Giustizia Carlo Nordio, con l’appoggio di parte della maggioranza.
Nel frattempo, il piano ministeriale per costruire nuovi spazi detentivi è fermo al palo, e l’unica azione concreta è l’annuncio dell’arrivo di moduli prefabbricati, soluzione temporanea e fortemente contestata.
La visita di Papa Francesco: un grido che scuote le coscienze
Tra le immagini che più hanno colpito l’opinione pubblica negli ultimi anni c’è quella di Papa Francesco nel carcere di Rebibbia, inginocchiato davanti ai detenuti, con parole che ancora oggi riecheggiano nel cuore del mondo:
“Perché loro e non io?”
Una frase semplice, ma devastante nella sua forza. Un invito a guardare ogni persona reclusa non solo come “colpevole”, ma come essere umano, fragile, redimibile, capace di ricominciare. Quelle parole non sono state dette per pietà, ma per giustizia. Perché la differenza tra “noi” e “loro” spesso è solo una questione di destino, non di valore morale.
Il carcere non può essere una condanna alla disperazione
L’ordinamento penitenziario italiano parla chiaramente: il carcere deve avere funzione rieducativa, non punitiva. Eppure, oggi troppe celle sono luoghi dove si spegne ogni possibilità di riscatto.
I detenuti tossicodipendenti non ricevono cure, gli stranieri vivono isolati, chi ha diritto a misure alternative spesso resta in carcere perché non ha una casa dove essere affidato.
Molti sono in attesa di giudizio, altri scontano pene brevi che potrebbero essere convertite in lavori socialmente utili. Ma intanto sopravvivono in condizioni disumane.
Una responsabilità collettiva, non solo istituzionale
Se uno Stato democratico e civile non riesce a garantire i diritti minimi anche a chi ha sbagliato, allora ha fallito nel suo compito più alto: quello di essere garante di giustizia per tutti, non solo per chi può difendersi.
Non è questione di politica, è questione di coscienza.
Come ha ricordato più volte anche il presidente Mattarella, il grado di civiltà di un Paese si misura nelle sue prigioni.
Serve una scelta di coraggio
Occorrono decisioni rapide, misure straordinarie, ma soprattutto un cambio di sguardo.
Non possiamo permettere che, nel silenzio dell’estate, altri nomi si aggiungano alla lista dei suicidi.
Serve un’indulgenza sociale, ma anche istituzionale. Serve ripensare le pene, riconvertire le misure, offrire possibilità.
Perché nessun detenuto può essere lasciato solo nel caldo, nel degrado, nel silenzio.
Il carcere, in Italia, deve tornare ad essere luogo di speranza.
Un ponte, non un muro.
Un momento di riflessione, non una condanna all’abbandono.
È tempo di ascoltare chi grida aiuto con gli occhi, con le lettere non lette, con le vite appese a un filo.
Le parole di Papa Francesco non devono restare sospese nel vento:
“Perché loro e non io?”
È da questa domanda che deve partire ogni risposta.
Prima che sia troppo tardi.