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La Norvegia ha rilevato un livello di radiazioni 800.000 volte maggiore del normale nel relitto di un sottomarino dell’ex Marina sovietica.

Il Komsomolets affondò nel Mare di Norvegia nel 1989, dopo che un incendio divampato a bordo uccise 42 marinai.

Un campione esaminato ha mostrato una perdita di cesio radioattivo da un tubo di ventilazione, ma i ricercatori hanno fatto sapere che «non è da ritenersi preoccupante», perché l’acqua dell’Artico lo avrebbe velocemente diluito, e che «alla profondità di 1680 metri dove si trova attualmente il sottomarino di epoca sovietica, ci sono pochi pesci.»

Il 7 luglio, per la prima volta, un veicolo norvegese comandato da remoto (ROV) ha esaminato e filmato il Komsomolets, rilevando danni importanti allo scafo.

Il sottomarino, anche conosciuto in Russia come K-278, affondò portando con sé due siluri nucleari con testate al plutonio. La sezione frontale ha sei tubi di lancio, e il sottomarino era anche in grado di lanciare missili antinave di tipo Granit (P-700, conosciuti in occidente con il nome in codice NATO di SS-N-19 Shipwreck).

Questa sembra essere parte del sistema diesel ausiliario mostrato dal ROV

Queste nuove informazioni giungono una settimana dopo l’incendio che nel Mare di Barents uccise 14 ufficiali di Marina a bordo di un sommergibile a propulsione nucleare.

L’Autorità Norvegese per la Vigilanza sul Nucleare e Radiazioni (DSA) ha fatto sapere che il reattore ad acqua pressurizzata che alimenta il K-278, nell’Aprile del 1989 si spense velocemente quando l’incendio invase un altro compartimento. 27 marinai sopravvissero a quell’evento, venendo tratti poi in salvo da due navi sovietiche.

La perdita di radiazioni rilevata questa settimana, proviene da un tubo vicino al reattore, ed è stata misurata in 800Bq (becquerel) per litro, mentre il livello normale nel Mare di Norvegia è di circa 0,001Bq. Altri campioni prelevati dal relitto, comunque, non mostrerebbero livelli elevati di radiazioni.

I 42 marinai che persero la vita nel disastro, morirono a causa dei fumi tossici o congelati dalle gelide acque artiche, dopo che il K-278 emerse per un breve periodo. Il comandate gestì la situazione inviando una richiesta di soccorso circa un’ora dopo che divampò l’incendio, ma lui e altri quattro morirono dopo che la loro capsula di emergenza affondò. Per il sottomarino non ci fu via di scampo nel momento in cui le fiamme si propagarono al resto della struttura, alimentate dall’aria pressurizzata fuoriuscita da una tubazione rotta, stando a quanto riportato dall’agenzia russa RIA.

Immagine del ROV mentre preleva campioni dall’interno dello scafo in titanio.

La Russia ha precedentemente inviato un sommergibile con equipaggio per esaminare il relitto, rilevando perdite radioattive dalla medesima sezione.

Gli specialisti norvegesi di radiazioni e i ricercatori marini sono stati accompagnati da esperti dell’Associazione russa Typhoon per la Ricerca e Produzione (una delle principali organizzazioni del Servizio Federale di Idrometeorologia e Monitoraggio Ambientale russo): «Abbiamo prelevato campioni di acqua dall’interno di questo particolare condotto perché i russi ne avevano documentato perdite negli anni ‘90 del secolo scorso e più recentemente nel 2007 – ha commentato Hilde Elise Heldal, a capo della spedizione – Perciò non ci siamo sorpresi nel trovare alti livelli di radiazioni. I livelli dai noi rilevati erano chiaramente al di sopra del valore normale che ci si aspetta negli oceani, ma non erano preoccupantemente alti».

Norvegia e Russia monitorano regolarmente le radiazioni nell’area dal giorno del disastro, a volte in spedizioni congiunte.

Il Komsomolets, varato nel 1983, era un sottomarino lungo 117 metri che poteva raggiungere la profondità di 1250 metri. La sua velocità massima era di 30 nodi (56 Km/h).

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