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Molta la tecnologia italiana nel reattore.

Francia. Completato l’edificio destinato ad accogliere il reattore sperimentale ITER (International Thermonuclear Experimental Reactor). Il più grande Tokamak del mondo, il primo impianto a fusione magnetica di dimensioni confrontabili a quelle di una centrale elettrica convenzionale, progettato per dimostrare la fattibilità nell’uso della fusione nucleare, è il frutto di una grande scommessa internazionale che vede collaborare centri di ricerca, università e industrie di Unione Europea, Giappone, Federazione Russa, Stati Uniti, Cina, Corea del Sud e India, per un totale di 3.500 ricercatori di 140 istituti di 35 Paesi. Stime recenti indicano un costo complessivo dell’opera pari a 14 miliardi di dollari.

«Le opere civili sono state ultimate e con il nuovo anno si passerà alla fase di montaggio della macchina», ha detto Sergio Orlandi, capo del dipartimento di ingegneria di ITER. «Nel 2025 – ha aggiunto – dovremmo avere il primo plasma, vale a dire che la macchina si accenderà per cominciare la fase di collaudo e poi quella sperimentale».

L’Unione Europea contribuisce per oltre il 50% in termini di fondi e componenti, e l’Italia è in prima linea, impegnata con un nutrito gruppo di aziende nella costruzione sia di 10 dei 18 magneti superconduttori della macchina, sia dell’acceleratore di fasci neutri che permette di dare il via al processo di fusione, con il laboratorio Prima (Padova Research Iter Megavolt Accelerator). È atteso per l’inizio del 2020 l’arrivo a Cadarache del primo dei magneti superconduttori, nato dalla collaborazione fra industria, Enea e l’agenzia dell’Unione Europea F4E (Fusion for Energy), partito nel novembre 2017 da La Spezia e attualmente a Venezia.

«D’ora in poi non resta che assemblare i componenti della macchina e il prossimo obiettivo è fissato alla fine del 2025, quando si inizierà ad accendere il sole all’interno della ciambella», ha osservato il responsabile della divisione Tecnologie della fusione dell’Enea, Giuseppe Mazzitelli. «Adesso – ha aggiunto – inizia la sperimentazione tecnico-scientifica tesa a dimostrare che è possibile produrre l’energia dalla fusione». L’obiettivo iniziale è produrre una quantità di energia pari a 10 volte quella investita e in futuro si potrebbe salire a una resa superiore di 30-40 volte a quella iniziale. Sarà la macchina a rivelare le sue potenzialità: «è il banco di prova di questa energia del domani».

Dopo l’accensione, nel 2025, si prevedono almeno cinque anni di test e nel 2030 si potrebbe passare alla fase sperimentale vera e propria e quindi al dimostratore tecnologico Demo. Nel 2050 tutto potrebbe essere pronto per realizzare un vero e proprio reattore a fusione destinato a produrre energia su larga scala.

OBIETTIVI DI ITER

La quantità di energia che un tokamak può generare è il diretto risultato del numero di reazioni dalla fusione che si verifica nel nucleo. Gli scienziati sanno che più grande è la camera, maggiore sarà il volume del plasma generato, e quindi maggiore sarà il potenziale per l’energia di fusione.

Con un volume di plasma 10 volte maggiore (Q=10) di quello del più grande generatore oggi operativo, il Tokamak ITER sarà uno strumento sperimentale unico nel suo genere, capace di generare flussi di plasma più duraturi ed un miglior confinamento. ITER è stato progettato specificamente per:

  1. Produrre 500 MW di energia da fusione: l’attuale record è detenuto dal tokamak europeo JET che nel 1997, a fronte di un energia investita di 24 MW generò 16 MW di energia da fusione (Q=0,67).

  2. Dimostrare l’operazione integrata delle tecnologie usate in un impianto per la fusione nucleare: ITER colmerà l’attuale vuoto tra gli attuali impanti sperimentali di fusione su piccola scala e la dimostrazione delle reale fattibilità di impianti a fusione nucleare del futuro.

  3. Ottenere un plasma al deuterio-tritio nel quale la reazione venga autosostenuta senza addizionale investimento di energia dall’esterno: gli scienziati sono confidenti nel fatto che i plasma ottenuti da ITER non solo produrranno molta più energia da fusione, ma sarannno in grado di rimanere stabili per periodi di tempo molto più lunghi.

  4. Testare la produzione di tritio: una delle missioni di ITER è dimostrare la possibilità di produrre tritio al’interno della camera a vuoto. La fornitura mondiale di tritio (usato assieme al deuterio per alimentare la fusione nucleare) non è sufficiente per soddisfare le richieste dei futuri impianti a fusione nucleare.

  5. Dimostrare le caratteristiche di sicurezza di un impianto a fusione nucleare: ITER a raggiunto un’importante tappa nella storia della fusione nucleare quando, nel 2012, l’Organizzazione ITER è stata riconosciuta come operatore nucleare in Francia, secondo i rigorosi ed imparziali controlli di sicurezza a cui è stata sottoposta.

(Crediti foto: Organizzazione ITER)

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