Crediti immagini: William Mattey, André Beltrame, Athena tramite Pexels.
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Ogni 17 gennaio si celebra la giornata mondiale del pizzaiolo, istituita nel 2017, anno nel quale “L’Arte tradizionale del pizzaiolo napoletano” è stata riconosciuta dall’Unesco come parte del patrimonio culturale dell’umanità

Secondo l’Osservatorio pizza di CNA Agroalimentare quello della pizza è uno dei più attivi fattori di sviluppo economico del nostro Paese. Ogni giorno solo in Italia si sfornano circa 5 milioni di pizze nelle circa 63mila pizzerie e locali per l’asporto, taglio e trasporto a domicilio.

Un “compleanno” amaro segnato dall’emergenza coronavirus con la grande maggioranza delle pizzerie italiane chiuse per il servizio al tavolo nelle regioni arancioni e rosse e le altre duramente provate dalle limitazioni negli spostamenti e negli orari di apertura, con il coprifuoco, nonostante la debole boccata d‘ossigeno rappresentata dalla possibilità di consegna a domicilio e di asporto.

Con gran parte delle pizzerie chiuse per l’entrata in vigore delle misure di prevenzione previste dal Dpcm nella nuova mappa di colori nelle regioni, la Giornata internazionale della pizza si celebra quest’anno soprattutto nelle case dove oltre 4 italiani su 10 (44%) hanno scelto di prepararsela da soli pur di non rinunciarci. È quanto emerge da un sondaggio condotto da Coldiretti in occasione della giornata dedicata al simbolo della cucina italiana più conosciuta nel mondo.

Le pizzerie sono forse il settore della ristorazione più colpito dall’emergenza sanitaria per il consumo serale che si scontra con l’obbligo di chiusura in tutto il territorio nazionale alle 18,00, ma pesa molto anche l’assenza totale dei turisti stranieri, da sempre tra i più accaniti consumatori di pizza.

Le vendite nei locali sono praticamente dimezzate con un crack stimato da Coldiretti in almeno 5 miliardi nel 2020, che mette a rischio il futuro di 63mila pizzerie con circa 200mila addetti presenti lungo la Penisola. Ma le difficoltà si trasferiscono lungo tutta la filiera considerato che a pieno regime nelle pizzerie ogni anno si stima vengano impiegati 400 milioni di chili di farina, 225 milioni di chili di mozzarella, 30 milioni di chili di olio di oliva e 260 milioni di chili di salsa di pomodoro.

Senza dimenticare il taglio dei consumi di vino e soprattutto di birra che trovano nelle pizzerie un canale privilegiato di vendita. La chiusura forzata dei locali ha dunque un impatto devastante non solo sulle imprese e sull’occupazione ma anche sull’intero sistema agroalimentare che ha visto chiudere un importante sbocco di mercato per la fornitura dei prodotti.

Nel tempo della pandemia ad aumentare è dunque solo la spesa domestica, con il lockdown e le altre limitazioni che hanno “riportato” gli italiani ai fornelli. La preparazione casalinga dei piatti tradizionali, a partire dalla pizza, in questo periodo è infatti un’attività tornata a essere gratificante per uomini e donne all’interno delle case anche con il coinvolgimento appassionato dei più piccoli. Non a caso si è registrato un raddoppio delle vendite di preparati per pizze (+101%) nei supermercati secondo l’analisi della Coldiretti su dati Iri.

«Gli italiani sono i maggiori consumatori di pizza in Europa con 7,6 chili all’anno, e staccano spagnoli (4,3), francesi e tedeschi (4,2), britannici (4), belgi (3,8), portoghesi (3,6) e austriaci che, con 3,3 chili di pizza pro capite annui, chiudono la classifica. Ma il Belpaese vanta anche – spiega la Coldiretti – l’iscrizione dell’“Arte dei Pizzaiuoli napoletani” nella lista del patrimonio culturale immateriale dell’umanità dell’Unesco avvenuto il 7 dicembre 2017».

Numeri che fanno girare la testa e che dimostrano come un mestiere tradizionale ed affascinante come quello del pizzaiolo possa essere ancora attuale nell’era digitale.

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