L’inquinamento da plastica è una piaga che affligge i nostri oceani, e le cosiddette “reti fantasma” rappresentano una delle minacce più insidiose. Queste reti rappresentano una nuova fonte di inquinamento: se una volta, infatti, erano realizzate con la canapa o il cotone, oggi è la fibra sintetica derivante dalla plastica il principale materiale utilizzato, che impiega centinaia di anni per decomporsi.
Abbandonate o perse in mare, queste attrezzature da pesca continuano a catturare e uccidere innumerevoli creature marine, danneggiando gli ecosistemi e mettendo a rischio la biodiversità.
L’ISPRA scende in campo
Grazie al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA) ha lanciato una grande operazione di pulizia dei mari italiani. Lungo le coste di Liguria, Toscana, Lazio, Campania, Sicilia, Puglia, Marche, Emilia-Romagna e Veneto, sono stati individuati 20 siti particolarmente colpiti da questo fenomeno.
Un esercito di “ghostbusters” dei mari, composto da subacquei esperti e robot sottomarini, è pronto a entrare in azione per rimuovere le reti fantasma, spesso incastrate nelle rocce o sepolte nel fondale. Un’operazione delicata e complessa, che richiede competenze specifiche e l’utilizzo di tecnologie all’avanguardia.
Perché le reti fantasma sono così pericolose?
Impatto sulla fauna marina | Le reti fantasma intrappolano e uccidono innumerevoli pesci, mammiferi marini, tartarughe e uccelli, causando un grave danno alla biodiversità. |
Danni agli ecosistemi | Le praterie di Posidonia oceanica, polmoni del mare, vengono danneggiate dall’abrasione meccanica causata dalle reti, con gravi conseguenze per l’intero ecosistema marino. |
Inquinamento da microplastiche | Le reti, spesso realizzate in plastica, si degradano lentamente rilasciando microplastiche che entrano nella catena alimentare e possono avere effetti negativi sulla salute umana. |
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