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Il recente spiaggiamento di velelle è un fenomeno naturale che, tuttavia, non rivela un mare necessariamente pulito ma è causato semplicemente dal gioco delle correnti marine; il fenomeno però si sta rapidamente intensificando e ciò dovrebbe preoccupare gli organi pubblici di sorveglianza e gestione delle risorse marine; perché è la palese dimostrazione di un mare svuotato dei pesci che se ne cibano: i loro maggiori predatori sono infatti, oltre alle testuggini e tartarughe marine, tonni, pescispada, pesci luna, pesce azzurro e molte altre specie fortemente pescate; le stesse velelle (e le altre meduse) catturano poi piccoli pesci, innescando un circuito che porta allo spopolamento del mare.

L’appello della Protezione Animali savonese è innanzittutto che si lasci che la natura faccia il suo corso e non si eliminino o si sotterrino le velelle spiaggiate, almeno finché gli arenili non siano frequentati dai bagnanti; e, soprattutto, nell’ambito della sacrosanta campagna contro le plastiche e microplastiche in mare (Enpa fu la prima associazione a promuovere una manifestazione con il porto di Loano e l’Università di Siena, l’11 Maggio 2017) si comincino a recuperare le migliaia di reti perdute o abbandonate dai pescherecci, che prima di frazionarsi continuano a pescare per secoli; e si decreti al più presto la sostituzione degli attrezzi di pesca, sia professionale che sportiva, con materiali biodegradabili e fibre naturali.

E’ tragicomico che in questa situazione critica (il 33% degli stock ittici è sottoposto a sfruttamento eccessivo, soprattutto nel Mediterraneo, dove viene sfruttato al suo limite massimo oltre il 60% delle specie) denunciata da anni tutti gli organi scientifici internazionali del settore, si continui a promuovere il consumo di pesce; non si contano infatti le trasmissioni ed i servizi televisivi o gli eventi locali a base di pescato fresco; occorre invece chiedere di mangiare meno pesce o eliminarlo dalla dieta, favorendo così la riduzione dell’insostenibile “sforzo di pesca” delle marinerie professionali.

E non vale neppure l’alternativa crudele del pesce d’allevamento, che copre ormai il 75% del mercato, perché per ottenere un chilo di carne occorrono cinque chili di farine di pesce selvatico di specie scarsamente commerciali, a loro volta pescate in mare.

c.s.

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