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Il bracconaggio, tornato a livelli normali con l’attenuazione del distanziamento sociale anticovid19, è presente in Liguria in misura uguale al resto d’Italia, anche se le tante norme di legge approvate in materia di caccia dal consiglio regionale ligure (col solo voto contrario del Movimento 5 Stelle) sono poco attente a questa piaga della società; ma è sempre vile ed atroce per le vittime.

Ne sa qualcosa un cinghiale, che nei giorni scorsi girava nei boschi di Vado Ligure ed ogni tanto si spingeva lungo il torrente Segno in cerca di cibo; aveva infatti il muso stretto dal cavo d’acciaio di un laccio in cui era incappato chissà quanto tempo prima; per sua fortuna, la povera bestia riusciva ancora ad aprire parzialmente la bocca ed a sfamarsi e ciò gli ha impedito di morire di fame. Fotografato da alcun abitanti impietositi anche dalla sua mansuetudine, è scattato il tentativo – burocrazia permettendo – dei volontari della Protezione Animali per addormentarlo e levargli il cappio; l’altro ieri finalmente ha risolto da solo il problema, riuscendo a toglierselo, forse sfregando la testa contro un albero.

Enpa temeva infatti che la sua sorte sarebbe stato probabilmente segnata; era necessario addormentarlo con una freccia contenente anestetico sparata da un fucile speciale, che è solo in dotazione agli operatori degli enti pubblici (Regione ed Asl), che però, dopo la cattura e secondo una restrittiva interpretazione delle leggi, non poteva più essere rimesso in libertà ma soppresso o, peggio, inserito in un recinto di addestramento per cani da caccia al cinghiale.

La Protezione Animali savonese denuncia infatti che la Regione Liguria non vuole capire che la legge vigente proibisce giustamente di immettere in natura cinghiali d’allevamento ma non è il caso di un soggetto natovi e cresciutovi che, per vicissitudini varie, dopo il suo recupero vi deve – secondo Enpa – legittimamente ritornare, trattandosi di “re immissione” e non “immissione”; ma vaglielo a far capire!

c.s.

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