Condividi l'articolo

Il contesto familiare e, in particolare quello di coppia, continuano a rappresentare gli spazi più a rischio per le donne. E durante l’emergenza sanitaria i centri antiviolenza avrebbero dovuto ricevere maggiore sostegno.

La violenza contro le donne si consuma per lo più in casa e all’interno della coppia. In occasione della Giornata internazionale contro le violenza sulle donne ecco i dati del VII Rapporto Eures sul femminicidio in Italia. Sono state 91 le donne uccise nei primi dieci mesi del 2020, una ogni tre giorni: un numero in leggera flessione rispetto alle 99 dello stesso periodo dell’anno scorso. A diminuire significativamente in realtà sono soltanto le vittime femminili della criminalità comune (da 14 a 3 nel periodo gennaio-ottobre 2020) mentre risulta sostanzialmente stabile il numero dei femminicidi di familiari (da 85 a 81) e, all’interno di questi, il numero dei femminici di coppia (56 in entrambi i periodi); in aumento (da 0 a 4) anche le donne uccise nel contesto di vicinato.

Dentro le mura domestiche

In sostanza, l’incidenza del contesto familiare nei femminicidi raggiunge nel 2020 il valore record dell’89%, superando il già elevatissimo 85,8% registrato nel 2019. Analogamente, all’interno del contesto familiare, i femminicidi consumati all’interno della coppia salgono al 69,1% (erano il 65,8% l’anno passato). I femminicidi familiari – che negli ultimi 20 anni presentano un’incidenza progressivamente crescente – registrano il valore più elevato proprio nell’ultimo anno, a fronte di una percentuale media del 73,5% (pari a 2.458 femminici di familiari dal 2000 ad oggi). La coppia continua a rappresentare il contesto relazionale più a rischio per le donne, con 1.628 vittime tra le coniugi, partner, amanti o ex partner negli ultimi 20 anni (pari al 66,2% dei femminici di familiari e al 48,7% del totale delle donne uccise) e 56 negli ultimi dieci mesi (pari al 69,1% dei femminici di familiari e a ben il 61,5% del totale delle donne uccise). Gli autori sono nella quasi totalità dei casi uomini (94%), con valori che nel corso dei singoli anni oscillano tra il 90% e il 95%.

Violenze pregresse

L’anno scorso, in un caso su due il femminicidio di coppia è stato preceduto da episodi (spesso ripetuti) di maltrattamenti. Nel 2019 l’incidenza dei maltrattamenti pregressi nei femminicidi di coppia ha raggiunto il 50% dei “casi noti” (quelli cioè di cui si dispone di informazioni in merito), di fatto raddoppiando rispetto al 2018 (quando la percentuale delle donne vittime di maltrattamenti pregressi era del 21,7%) e al 2017 (38,9%). Anche dai dati parziali dei primi dieci mesi del 2020 arriva la conferma che il femminicidio all’interno della coppia è spesso soltanto il culmine di una serie di violenze pregresse: violenze psicologiche (20%), violenze fisiche (17,7%), stalking (13,3%) e violenze note a terzi (11,1%). Violenze però denunciate solo nel 4,4% dei casi.

L’effetto del lockdown

Le misure restrittive imposte dall’emergenza pandemica hanno fortemente modificato i profili di rischio del fenomeno: osservando i dati relativi ai femminicidi familiari consumati nei primi dieci mesi di quest’anno si rileva come il rapporto di convivenza, già prevalente nel 2019 (presente per il 57,6% delle vittime), raggiunga il 67,5% attestandosi addirittura all’80,8% nel trimestre del dpcm ‘Chiudi Italia’. Quando, tra marzo e giugno, ben 21 delle 26 vittime di femminicidio in famiglia convivevano con il proprio assassino. In valori assoluti, nel confronto tra i primi dieci mesi del 2019 e il medesimo periodo del 2020, il numero dei femminicidi familiari con vittime conviventi sale da 49 a 54 (+10,2%), mentre scende da 36 a 26 quello delle vittime non conviventi (-27,8%).

In prima linea

ActionAid ha diffuso un monitoraggio sul fenomeno, concentrandosi sui fondi destinati al settore nell’emergenza Covid-19, denunciando una carenza di sostegno alle strutture che si occupano di contrastare la violenza contro le donne. I centri antiviolenza (CAV) e le case rifugio, afferma ActionAid, «durante la pandemia sono gli unici spazi che hanno continuato a funzionare del sistema antiviolenza. Solo l’enorme impegno messo in campo dai CAV, anche nelle situazioni più critiche come quelle lombarde, ha garantito alle donne che subiscono violenza di essere supportate».

Durante il primo lockdown, dopo un iniziale crollo, il numero delle chiamate di aiuto al 1522, tra marzo e giugno 2020, è più che raddoppiato rispetto al 2019 con 15.280 richieste (+119,6%). In Lombardia, però, c’è stata una forte riduzione dello staff nei CAV causata dal dimezzamento del numero di volontarie – generalmente di età medio-alta e quindi a rischio contagio – e dalla malattia o messa in quarantena di operatrici. In aggiunta, i Centri sono stati costretti a turni di lavoro estenuanti, come nel caso della provincia di Cremona, che ha esteso la propria reperibilità h24 con risorse umane ridotte del 50%.

«Questo a fronte di ritardi e della mancanza di procedure standard delle istituzioni», scrive l’associazione. Dalla scarsità di mascherine e guanti (distribuiti solo in pochissimi casi dalle istituzioni locali come a Brescia) all’impossibilità di accedere ai tamponi, fino alla mancanza di spazi adeguati per isolamenti fiduciari. Nonostante la circolare inviata a marzo 2020 dal Ministero dell’Interno alle Prefetture per rendere disponibili alloggi alternativi, i centri – ad eccezione di quelli di Pavia – sono stati costretti a ricorrere a bed&breakfast o appartamenti messi a disposizione da conoscenti e privati.

c.s.

Resta aggiornato con le nostre ultime notizie da Google News

Seguici